La questione della diplomazia è la questione dell'ascolto e dell'intendimento, è la questione della piega. Come fare in modo che la lingua dei litiganti lasci il posto alla lingua diplomatica, lontana dall'uno contro uno, lontana dalle ideologie, dai totalitarismi, dai muri, lontana da fantasie di padronanza? Alla pace si giunge quando viene dissipata qualsiasi rappresentazione dell'Altro, pensato come amico o come nemico. L'esigenza della lingua diplomatica tocca ora la nostra vita e si riferisce a ciascun aspetto dell'esperienza: nella società civile, nella famiglia, nelle istituzioni, negli affari, nell'impresa, nella finanza. In questo laboratorio inconsueto s'incontrano senza clamori, con garbo e discrezione, poeti, imprenditori, economisti, scrittori e artisti dall'Europa, dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall'Ucraina, dall'Iran, dalla Cina, e s'imbattono in alcune questioni cruciali: la tolleranza, l'ospitalità, l'impresa libera, la pace, il giornalismo e la scrittura civile, la battaglia, il carcere e l'esilio. Sono uomini e donne venuti da paesi vicini e lontani: tra loro, Rebiya Kadeer, la battagliera leader del popolo oppresso degli uiguri; Viktor Erofeev, lo scrittore che indaga nelle pieghe dell'anima russa; il politologo iraniano in esilio Mehdi Khalaji, studioso di teologia islamica; l'esperto in economia globale e strategia internazionale Vladimir Kvint; il principe Nikita Dmitrevič Lobanov-Rostovskij, con le affascinanti avventure sotto vecchi e nuovi zar. S'intrecciano così storie di vita, aneddoti, racconti e testimonianze. Emergono ragionamenti e proposte. E un'analisi dei pregiudizi più comuni e delle abitudini più radicate.
La diplomazia è questione di ascolto e di intendimento
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