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Poesia e rimozione. Il revisionismo da Blake a Stevens
Libro
pp. 340
18,08 €
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"L'araldo più infallibile, compagno e seguace del risveglio di un grande popolo nell'operare un giovevole cambiamento nel pensiero o nell'istituzione, è la poesia. [...] I poeti sono i gerofanti di un'ispirazione non capita: gli specchi di gigantesche ombre che il futuro getta sul presente; le parole che esprimono quel che non capiscono: le trombe che squillano a battaglia e non sentono quel che ispirano; l'influenza che non è mossa, ma muove. I poeti sono i misconosciuti legislatori del mondo". Questo è il più famoso passo in prosa di Percy Shelley e contiene il richiamo esplicito a ciò che interessa Bloom: quello che egli definisce un paradosso e che Shelley stesso chiama influenza poetica.
Che cos'è, quindi, l'influenza? Una cosa perseguibile dai tribunali? No, per Bloom è qualcosa da cogliere attraverso la rete dei tropi della poesia, delle strutture della psiche e dei rapporti di revisione. In questo libro, il lavoro principale di Bloom concerne la rimozione: quella che sbarra la comprensione del testo dei precursori e che solo i più forti tra i poeti possono, non certo aggirare, ma precisamente usare per fare poesia, facendo propria la lingua del precursore. Ma come può, Bloom, rintracciare le maglie dell'impercettibile catena che, attraverso Dante, risale da Milton fino al biblico Ezechiele e che, attraverso il testo della grande poesia britannica, influenza con pulsione incessante Milton, Blake, Shelley, Keats, Tennyson, Browning, Yeats, fino agli americani Emerson, Whitman e Stevens? Ebbene, lo può da poeta, con Giambattista Vico, insuperato lettore del mito e inventore della critica; con Nietzsche, primo dei non romantici e ultimo dei romantici; e con Freud, lettore dell'inconscio e inventore, appunto, della rimozione.
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