Erano giocatori ai tavoli di Casinò metafisici, amanti assassini che si accanivano sul corpo della loro vittima, poco più di una bambina, giovanotti di provincia che studiavano il modo di far esplodere una città con le parole di un racconto. Landolfi, Savinio e Delfini avevano in comune una certa pericolosa indifferenza verso l'esterno, il reale consorzio degli uomini e dei letterati, che si ritorceva fatalmente in scacco o indifferenza nei loro confronti. Eppure sono stati tra i pochissimi ad accostarsi a quel vuoto, la mi-mort, il silenzio della bambina muta di Landolfi, che è il cuore segreto del racconto del novecento, la prova che ormai l'immagina. l'io non può più coincidere con l'ordine del reale. E forse solo a chi pratica, come loro, la trasgressione e l'ironia, il calcolato furore e il gioco d'azzardo è ancora permesso di avvicinarsi a quel punto inaccostabile dove diventa attraente la storia della morte di ogni racconto. (Silvana Castelli) |