Dall'inizio della storia, il potere politico in Medioriente ha sempre tratto legittimità dalla religione. Questo va di pari passo con la sacralizzazione della lingua della scrittura opposta alla lingua vernacolare e quotidiana e, perciò, con la subordinazione della scrittura a fini di prestigio e di sfruttamento. Lo stato islamico non fa eccezione. Ma, come ha dimostrato in modo inconfutabile lo sceicco 'Al 'Abd al-Razek, né il Corano, né i detti del Profeta contengono la minima indicazione sui principi di governo. Con un'impostura che raramente trova uguali nella storia politica dell'umanità, i governanti si sono serviti dell'ambiguità dell'espressione "successore del Profeta" per rivendicare il potere assoluto e mettere la religione sotto la ferula dello stato. Ne è risultato un modo di governare che si regge sulla corruzione, sulla repressione e sulla censura incarnata nella suddetta politica della scrittura. Finché lo stato riesce nell'espletamento dei suoi compiti, il regime teocratico pare conforme all'ordine delle cose. Il suo fallimento non dà luogo a una rivoluzione ma a un terrorismo che giunge a contestare la sua legittimità. In effetti, i terroristi della nostra epoca fondano la loro contestazione su un dogma omicida con cui si autorizzano a ergersi giudici in materia di fede religiosa, arrogandosi un sapere che il Corano riserva espressamente a Dio. Questo libro senza compromessi è un appello sia all'uso del vernacolo come lingua di cultura sia alla liberazione dell'islam dal giogo del potere temporale. In questo modo, abbozza un quadro sorprendente dello stato attuale della cultura nei paesi arabi. |